mercoledì 28 dicembre 2016

[Di tutti i giorni a seguire]





Un giorno conobbi un uomo.
In realtà non era davvero un uomo. Era un ragazzo. O anche meno di un ragazzo.
Ed in realtà non lo conobbi un giorno qualunque, ma in tutti gli altri a seguire.
Ricordo benissimo la sua postura, quell’insolito gesto di toccarsi i capelli, quel sorriso ammaliante e, soprattutto, ricordo la sua voce.
Oh, quella voce.
Calda. Calda più d’un camino acceso in inverno. Non so descriverla.
Non era bello, o forse sì, lo era. Ma non era esattamente quello ad aver attirato la mia attenzione.
Anche se avessi chiuso gli occhi, anche se avessi tappato le orecchie, lo avrei percepito.
Era come se lo avessi cercato in ogni angolo d’universo, per tutta la vita, per poi ritrovarmelo lì: seduto tre o quattro sedie dopo la mia, con una gamba sull’altra, le braccia incrociate, fintamente interessato all’ordine del giorno.
Lo avvicinai, impacciata, con una scusa che in quel momento dev’essermi sembrata un ottimo argomento di discussione. Me stessa contro la sua immensa fierezza.
E mi sentivo così indefesa a fianco a lui. Una briciola minuscola in una panetteria. Ecco cosa.
E adesso che ci penso, ero una persona molto sicura prima di conoscerlo. Orgogliosa, superba. Forte, dicevano.
Lui, che in un tempo indefinito (che ho identificato più o meno come un secondo e mezzo), ha sostituito le mie certezze con la sua persona e ha sorretto la mia anima per anni.
Ricordo che non c’era assolutamente nulla di più rassicurante di ascoltarlo cantare.
La sua voce, e nient’altro.
Il mio mondo era un posto meraviglioso quando mi cantava vicino. Tutto si dissolveva: le macchine, le strade, i rumori, la gente, gli alberi, il cielo, i vestiti, i bar. C’eravamo io, con i miei occhi chiusi e un accenno di sorriso, e la sua voce.
Probabilmente lui non faceva mai caso a quello che provocava al mio cuore complicato. E nemmeno io mi ero mai fermata a pensarci.


Solo dopo ho capito che, incontrandolo, sì, proprio in quel momento, avevo per la prima volta preso coscienza dell’amore.


Amore... che parola riduttiva. Era piuttosto uno stormo infinito di emozioni e paure e tormenti, impazziti nel caos totale, che mi scaraventava selvaggiamente su marciapiedi deserti e porti degradati, senza sosta alcuna, ma… ecco. Ero felice. Di una felicità pura. Ero parte di qualcosa che mi permetteva il respiro.
Ne sentivo volentieri il dolore.
Ero, per la prima volta, viva.
Anche dopo averlo perso, il solo pensiero di lui mi rassicurava.
Sì, perché l’ho perso, spesso lo dimentico.
Un giorno, distrattamente, per strada. Ero di corsa e ad un certo punto non l’ho più visto. Non ho più sentito la sua voce.

In realtà non un giorno preciso, ma tutti gli altri a seguire.
E l'ho cercato ovunque: nelle note delle canzoni, nelle più belle frasi dei libri, nelle più impensabili coincidenze, nei tramonti più lontani.
Ho provato mille volte a sorreggerla, la mia anima, senza il suo aiuto, ma con scarsi risultati. Pezzo dopo pezzo andava demolendosi sotto i miei occhi, davanti ad un io inerme. Incapace. In lacrime.
Le macchine, le strade, i rumori, la gente, gli alberi, il cielo, i vestiti, i bar, tutto era ricomparso ed io, mi sono persa più volte fra quel pantagruelico disordine. Ho pianto più volte dietro alle intemperie del mio mondo. Del mio mondo senza la sua voce.
Ma ecco: questa è la sfida più dolce.
Tenere in vita quell’amore, proteggerlo, alimentarlo in un posto sicuro, che tempo, distanza, distrazioni e parentesi non possono raggiungere.


1 commento:

  1. sai scrivere e descrivere i tuoi sentimenti (se essi sono), vorrei avere la tua capacità di catturare i momenti e descriverli.. mi hai fatto riflettere tanto.. grazie .. (spero in un tuo prossimo racconto) a presto

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