mercoledì 15 febbraio 2012

è così freddo il lago questa notte

“Questo letto è il mio giaciglio da mesi ormai. Dall’alto della sua cima, vedo crescere poco alla volta la vita dentro di me.
Sento un altro cuore pulsare forte sul mio, una manina che cerca di afferrarmi, un sorriso minuscolo che contagia anche me. Avrà i miei occhi, grandi, verdi, e la bocca perfetta del papà. Questa volta lo sentirò piangere. Questa volta non andrà via per sempre. Sarò una mamma, una donna. Finalmente.”

È così freddo il lago questa notte, lo sento nell’aria: la gelida brezza mi sfiora i capelli facendoli danzare sulle mie guance bianche, mentre io, immobile, rabbrividisco, piacevolmente. Chiudo gli occhi e assaporo ogni istante: godo di ogni fruscio d’albero, di ogni grido d’uccello impaurito, di ogni passo di felino fuggente. Tutto ai miei sensi appare perfetto, di una perfezione ben lontana dall’essere umano.
Vengo spesso qui: trascorro le ore della notte a guardare le stelle, in riva al lago, cullata dalla sua armonia. Il mondo reale a volte è così perfido: cos’è la vita se non riesci a godere delle sue più piccole briciole? Cos’è un amore se da esso distogli lo sguardo quando ti senti chiamare altrove? Cos’è un corpo, un corpo di donna, se di procreare non è capace… Per questo mi rifugio qui, nel mio mondo fantastico, in cui ad esistere siamo solo io e le stelle. I pensieri sono banditi, di solito. Purtroppo non stanotte.
Stanotte fra le mani ho quei piedini freddi, non più lunghi del mignolo della mia esile mano, che non si dimenano nemmeno se li tengo stretti stretti, quasi a farli soffocare.
Voglio provare quel gelo anch’io. Il gelo di quei piedini, che è quasi come quello del lago. Con gli occhi al di là del cielo, mi sfilo le scarpe e vado incontro alle onde. Allargo le braccia, il vento mi avvolge e col sangue ghiacciato, guardo ancora le stelle.
Non riesco neppure a gemere: come potrei mai rompere il silenzio di una natura scolpita in questa soave maniera? Il cielo stellato mi sovrasta, l’acqua del lago pian piano scala il mio corpo, il vento mi sussurra nelle orecchie parole di quiete suprema.
Ascolto. Distratta dal vento non riesco a sentire nemmeno il pianto del mio bambino, ma la sua boccuccia socchiusa è qui, ed elemosina un bacio. Avvicino le mie labbra alle sue, così piccole, scure, che non fuggono dal freddo, non fremono, non urlano pietà al mondo che sta strappando loro la vita.
Potrei stare ancora sospesa qui, a guardare le stelle, con l’anima al vento e il grembo avvolto dal lago, per ore, per altre cento notti, ma sul fondale vedo i suoi occhi, grandi e verdi, proprio come i miei, pieni di lacrime e dolore, che implorano aiuto. E si allontana quasi velocemente che non riesco ad afferrare la manina che mi tende.

“Trattieni il respiro, non mi lasciare!” spezzo il silenzio con le mie grida.

Ed è proprio il lago in cui vive rannicchiato da sette mesi, il boia traditore, che con mille pugnali gli trafigge i polmoni, gli si insinua nel sangue e lo avvelena, negandogli anche un secondo di vita. Negandogli, anche per un attimo, lo spettacolo delle stelle, la perfezione della natura, le grida di uccelli impauriti.

“Il mondo è davvero così perfido. Può persino non lasciare sbocciare l’innocenza di un fiore, tranciandogli il gambo all’alba”

E anche il mio lago, quello che con la sua armonia mi culla ogni notte, quello che riflette le mie stelle, quello che adesso mi colma il corpo di finta protezione, sarà il mio assassino.
Rivolgo un ultimo sguardo al mio cielo e mi lascio trascinare via. È sul fondale che quegli occhi mi spingono, mi chiamano, mi sorridono. Curvo le labbra anch’io, e nella mia ultima notte stellata, mi lascio portare via da quel pianto mai sentito.
Mi manca l’aria, i polmoni mi si riempiono di ghiaccio e un dolore lancinante mi ferma il battito.
Adesso lo vedo, lo sento, posso abbracciarlo. Ha davvero dei grandi occhi verdi, e i suoi piedini, non più lunghi del mignolo della mia mano, mi scaldano il petto.
Abbracciami, piccolo. Vivremo rannicchiati nel nostro lago, protetti dalle stelle.


[racconto vincitore "Gara 28" su braviautori.it http://www.braviautori.com/forum/viewtopic.php?f=80&t=3870]

1 commento:

  1. Racconto breve, intenso, drammatico. Ancor più per il contrasto del tema trattato con le immagini calme presentate: la pace e tranquillità del lago sono inaspettatamente generatrici di ricordi tragici e veicolo per la morte, per l'oblio. Questo avviene però senza violenza, senza che l'acqua si increspi, ma solo come espressione di volontà della protagonista, alla quale il lago, complice silenzioso, acconsente. Leggendo il racconto ho provato freddo e solitudine, resi molto bene dalle descrizioni sfumate e silenziose, e dall'esposizione dei pensieri della protagonista, a cui nessuno risponde. Il dramma, reso doppio dall'ultimo atto, mi ha lasciato molto triste, colpendomi per la personalità di una ferita che io posso solo immaginare. L'immagine degli occhi sul fondo del lago mi ha un po' inquietato, essendo parte macabra del mondo interiore della protagonista che, per disgrazia, lei non può cambiare, ma solo liberarsene unendosi a esso. Commovente e melanconico come un addio al passato senza un futuro in cui sperare.

    [recensione di Simone Pelatti]

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