martedì 20 marzo 2012

[Tacchi a spillo]


Era appurato: passeggiare per le vie di quella Firenze tanto amata indossando le immancabili decolté tacco 13, non era poi così comodo. Ma lei, così sensuale, così provocante, così donna, quel venerdì sera le aveva di nuovo ai piedi. Quelle di vernice rossa, che le portavano su il culo meglio di tutte le altre. Stava percorrendo passo dopo passo, le stesse vie dell’anno precedente, e sembrava che i palazzi la guardassero perplessi, consapevoli dei pensieri che le svolazzavano per la mente. Anche Vita, la sua migliore amica, la stessa dell’anno prima, conosceva quei pensieri: le prese forte la mano e la rassicurò con un sorriso.
“Magari stasera tieni stretta la bottiglia!” e rise forte “ci sarà”. Altro sorriso.
Si sentiva una stupida. Mister H, come lo aveva sopranominato con l’amica, non si sarebbe ricordato. Non avrebbe mai varcato la soglia del CaffèGreco per cercarla di nuovo. Probabilmente non la ricordava neppure. Non sarebbe stato poi così strano... era già passato un anno.
“Che casino!” l’esclamazione entusiasta di Vita la riportò sulla terra in un battibaleno. “Si aprano le danze”. Musica, gente, risate sarcastiche riempivano il locale. Vita l’aveva già trascinata in mezzo alla folla e si era messa a saltare a ritmo di House con alcuni ragazzi che non aveva mai visto prima. Anita invece odiava l’House. Odiava tutto quello che era commerciale, quello che la gente comune amava, quello che non la faceva sentire diversa dalla massa. Avrebbe preferito ascoltare CCCP in quel momento piuttosto che sballarsi di fumo passivo e saltare con dei tamarri da quattro soldi. Si allontanò dal gruppo di cavallette di qualche metro... la divertiva guardare Vita così spensierata. Le piaceva andarle dietro e sussurrarle all’orecchio: “Si si! Continua pure a far saltare le tue grandi tette!” con un sorriso tutt’altro che puro, leccarle il collo fra gli sguardi sbigottiti di quei ragazzini arrapati, accarezzarle il seno, girarle attorno fino a strofinarle il culo sulle cosce, così da creare un po’ di scalpore in quel metro quadrato di cui erano le Regine. Ma quella sera non ne aveva voglia, nonostante Vita la chiamasse e la provocasse con la lingua, come da routine.
Anche l’anno prima, nello stesso locale, stavano facendo il loro giochetto: Vita aveva appena infilato la mano sotto la sua gonna di finta pelle, quando Anita incrociò per la prima volta lo sguardo di Mister H, impassibile di fronte alle provocazioni delle due donne. E forse, fu proprio quella sorta d’indifferenza a farglielo piacere.
“Any vieni!” di nuovo catapultata alla realtà. Di nuovo staccata da uno di quei ricordi che la eccitavano in un attimo. Vita aveva buttato la giacca di finta seta su una sedia ed era rimasta in top. Il suo preferito, quello nero velato che le buttava fuori le tette e la faceva più magra. Era bellissima e provocante come tutte le sere. E quel rossetto rosso fuoco le stava da Dio... la chiamava a sé con l’indice. Anita, anche se con poca voglia, le si avvicinò sculettando e con in faccia un finto sorriso. Faceva sempre un buon odore Vita: sapeva di fragola, di mare, di pioggia, dipende dalle ore della giornata. Quando le sue mani le prendevano i fianchi, Anita chiudeva gli occhi e si faceva guidare in soavi movimenti: a volte si bagnava, anche se era tutto un gioco; allora le prendeva i capelli e la stringeva a sé, fin quando il desiderio non si esauriva, e poi ricominciava. Quella sera però gli occhi di Anita erano spalancati, anche se l’amica le aveva preso i fianchi. Scrutava senza sosta la folla, ma nessuna traccia di lui. Lui, era solo un’immagine della sua fantasia. Un pensiero passato. Una notte volata. Non sarebbe venuto.
Il pensiero era tornato ancora una volta a quella sera, alla birra versata di proposito sulla sua maglietta nera, alla finta aria insolente che aveva assunto, agli occhi verdi di lui, quasi stanchi, che fissavano i suoi. Aveva subito notato le sue mani: doveva essere un chitarrista. Senz’altro i calli sulle falangi potevano essere giustificati in questo modo, se non si voleva essere esageratamente maliziosi! Era un tipo affascinante e strano Mister H: i capelli ricci gli cadevano appena sulle spalle larghe e leggermente curvate, e nascondevano bene il piccolo orecchino sul lobo dell’orecchio sinistro.
“Chissà cosa nascondono i vestiti…” aveva pensato, e lo ricordava ancora.
Attorno ancora la musica alta. Ancora le mani di Vita sui suoi fianchi e decine di mezzi uomini attorno. Era già passata più di un’ora. Non sarebbe certamente venuto.
“Vita staccati! Prendo una birra!”. Annoiata, quasi infastidita, si avviò verso l’entrata laterale del CaffèGreco, fra gli inevitabili sguardi invidiosi delle ragazzine e i fischi inopportuni di chi non si sa trattenere. Anita aveva smesso coi cocktail da circa un anno: il quattro bianchi e fragola, il suo preferito, l’aveva tradita trascinandola al Pronto Soccorso priva di sensi. Da allora il solo odore le dava la nausea. Preferiva adesso di gran lunga la birra. Anzi, l’Heineken.
“Santy, tesoro!” Santino era ormai uno dei suoi fidati barman, da quella sera.
“Bambola! Il solito?” Lui non c’aveva mai provato, e mai l’avrebbe fatto.
“Ovvio!” Anita aveva sempre quel sorriso smagliante che non poteva non essere contagioso.
3 euro. Era uno dei locali più economici della cara Firenze.
Aveva già preso una sigaretta e stava per uscire, quando un rumore assordante di vetro frantumato la fece sobbalzare: la bottiglia di birra distrutta era ai suoi piedi. Si accorse di avere le calze nuove velate zuppe di birra e le scarpe rosse gocciolanti di giallo.
“Cazzo!” esclamò furiosa. Quelle erano le sue scarpe rosse! “ma chi cazzo è stato?”. Vita era già dentro il locale e rideva rumorosamente. Era ubriaca.
“Scusami” una voce le sussurrò all’orecchio.
Era un respiro che conosceva. Un odore che non aveva mai dimenticato e le era rimasto nella pelle. Per un anno. Immobile, non riusciva a voltarsi. Anche Vita aveva smesso di ridere. Adesso le brillavano gli occhi: succedeva ogni volta che era ubriaca in effetti. O quando era felice.
Con una mano sugli occhi lui l’accompagnò fuori, poco distante dall’ingresso.
“Tieni gli occhi chiusi” le disse piano “ti fidi di me?”
Il cuore stava per uscirle dal petto. Aveva avuto molti uomini, qualche donna, ma il sapore di lui le era mancato davvero. L’aveva catturata ed imprigionata in un baratro da cui non riusciva a venir fuori. Da un anno.
“Mi fido di te” rispose.
Lui si tolse la sciarpa leggera che teneva al collo e la fece girare intorno alla testa di Anita, fino a coprirle gli occhi. Le prese la mano e la portò in macchina.
Radio Virgin: le sue abitudini non erano cambiate. CCCP. Anita rise, lui le prese la mano.
Dopo qualche minuto furono fuori dall’auto. Anita ancora bendata si fece condurre lentamente da lui su per le scale di un posto che immaginava essere un Hotel. Dietro la porta della stanza odore di incenso. Lo stesso che lei aveva acceso a casa sua l’anno prima. Ambra, il suo preferito.
“Mi aspetti da tanto?” le sussurrò abbracciandola da dietro
“Solo 5 minuti” mentì lei, togliendosi la benda dagli occhi
Era davvero lì. Esattamente come lo ricordava, come lo aveva sognato molte notti, come voleva che fosse: affascinante e strano.  Sotto i jeans riusciva ancora a vedere il tatuaggio che aveva scoperto e baciato qualche tempo prima. Una chiave di violino, poco sopra l’inguine, e una data, rispetto cui non aveva chiesto nulla.
Le baciò il collo, lentamente. Solo una notte e conosceva già i suoi punti deboli. Percepì subito il fremito eccitato di Anita e continuò, accarezzandole i fianchi, e la pancia, che gli piaceva così tanto. Approfittando della sua stretta, Anita allungò le braccia fino ad infilare le dita fra i suoi capelli, percependone la stupefacente morbidezza. Voltatasi,  ritrovò la sua lingua sulle labbra: in balia di un bacio infinito non si accorse neppure che le aveva già fatto cadere la gonna sul pavimento, scoprendole il perizoma trasparente, trappola di un desiderio che stava per esplodere. Si chinò in avanti, e col culo scorse dietro i jeans scuri una prorompete virilità. Gli portò le mani sul seno, piccolo ma sodo, ed emesse un gemito di piacere: sapeva bene che sentire la sua voce lo faceva eccitare ulteriormente. Si voltò e con fare quasi maldestro gli tolse la maglia bianca che indossava, e con la lingua percorse la simmetria del suo petto. Si inginocchiò: il pavimento era così freddo da farla rabbrividire. I due sguardi si incrociarono, mentre lei sbottonava i jeans e scopriva il suo membro pulsante. Gli poggiò sopra le labbra calde e lo baciò dolcemente, ascoltandolo gemere. Anita sapeva bene cosa voleva, ma temporeggiava: le piaceva sentirlo impazzire. Le piaceva trascinarlo là dove non poteva tornare indietro. Gli prese la mano e lo tirò a sé, sul pavimento gelido: lui le tolse la maglia stretta che aveva ancora addosso, ma non il reggiseno. Non toglieva mai il reggiseno alle sue donne: amava scorgere i loro seni a metà. Anita lo fece distendere, e poggiò il suo corpo al suo, baciandogli ancora il collo. Stava per esplodere, Anita lo percepiva bene, ma temporeggiava, ancora. Dietro la schiena perfetta la sua mano scrutava le cosce di lui e saliva piano, senza mai afferrarlo completamente. Lui la sentiva bagnata: esplorava la sua femminilità con le dita, ma non gli bastava più. Scostò il perizoma trasparente, evitando di sfilargli anche quello, e la penetrò piano. Anita era in estasi.  Si sporse indietro mentre lui le afferrava i seni. I due corpi danzavano dietro un ritmo combinato e perfetto. Gemiti eterni su quel pavimento diventato di fuoco. Lei venne prima: raggiunse l’orgasmo in un grido di piacere che lo fece impazzire. La scaraventò sul pavimento e continuò a scrutare il suo corpo. Prima lentamente, poi sempre più veloce: era giunto anche il suo momento. Uscì di scatto e venne sulla pancia di Anita, in un sospiro soddisfatto. La baciò, e la vide addormentarsi, esausta, felice.
“com’è bella” pensò. Sicuro che l’avrebbe rivista. Forse fra un mese. Forse fra un anno. Forse la mattina seguente. Questa volta non avrebbe lasciato nessun biglietto d’addio. Questa volta le sarebbe piaciuto portarla con lui e non versarle addosso nessun’altra birra.
Fu alle prime luci dell’alba, quando Ruggero aprì gli occhi e allungo la mano, che si rese conto di essere solo. Nessun corpo bianco latte, nessun odore di donna accanto a lui. Solo un biglietto. Come biasimarla?
“Cercami, trovami, amami. Anita”.

[Mio racconto, prossimamente pubblicato nell'antologia cartacea "69 orizzontale" , prodotto del concorso omonimo di letteratura erotica su braviautori.it http://www.braviautori.com/forum/viewtopic.php?f=81&t=3627]

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