"Ballarò.
Palermo per me sarebbe stata una città vuota senza quel quartiere.
Gente di tutti i tipi, con addosso vestiti larghi, colorati e cani a seguito,
bavosi, che raccoglievano l’alcool gocciolante dai bicchieri dei padroni. Erano
abituati a dissetarsi di birra.
Gente di tutti i tipi si, alcune calzavano anche tacchi a spillo, probabilmente
sbagliando serata. Montagne di capelli arruffati, raggomitolati in nidi di dread,
adornati d’anelli e fiocchi, mi distraevano per qualche secondo. La Tavernetta
era gremita anche quella sera: ciascuno entrava, urlava “ ‘na Forst!”, e usciva
barcollando. Credo di essere stata l’unica ad aver mai detto “per favore” e
“grazie”, alla punkabbestia dietro il bancone, e probabilmente, non glien’era
mai fottuto nulla.
Piercing, tatuaggi, canne d’erba, pezzi d’hashish: tutto era quotidiano. Ed io,
stavo lì, a mio agio, al mio tavolo di legno logoro, con la mia fedele Forst in
pugno, cullata dagli odori del fumo e trafitta ogni tanto dagli sguardi vuoti
di ragazzi strafatti, anche quella sera. Non ero solita comprare erba: mi
bastava qualche bottiglia di Forst ed ero apposto o al massimo, rubavo qualche
tiro ai passanti.
Di sottofondo loro, i miei compagni, versavano birra e brindavano alla
felicità, di tanto in tanto urlando il nostro “Fondo!” così temuto da Giovanna,
che solitamente non toccava una goccia. Lei stava li, timida, in silenzio, a
guardar salire le bollicine di birra dorata su per il bicchiere, dissolversi al
capolinea.
La bottiglia mi distraeva da quel casino che era diventata la mia vita: esami
andati a puttane, il rapporto con mio padre che peggiorava di giorno in giorno,
la diffidenza che avevo acquisito nei confronti dell’amore, così lontano in
quel momento da me, frantumato dal tradimento di una notte. O forse, dal
tradimento di mesi e mesi. Non m’importava nemmeno saperlo. Preferivo l’apatia
alla verità. Avevo
così paura di mostrarmi debole quella sera che quando mi rendevo conto di aver
perso lo sguardo nel vuoto, lo riprendevo subito, baciando la bottiglia e
buttando giù un sorso. Ma loro mi conoscevano così bene… presero un’altra bottiglia. E un’altra ancora.
Finché quello che restò di me, fu odore di birra.
“Facciamola girare!” urlai, con la mia bottiglia asciutta in mano, impugnandola
come una spada.
“Un bacio a chi esce!” sbraitavo ubriaca. Me la stavo pure facendo sotto.
Gli altri mi appoggiavano.
Ciccio era entusiasta: riuscivo a
leggere nella sua mente le perversioni da ragazzino che scorrevano velocemente.
Le ragazze battevano i pugni sul tavolo, a ritmo del cuore di Giovanna, che
quasi le usciva dal petto per il forte imbarazzo. Giuseppe non era molto
convinto, lui, nelle mani del suo apparente equilibrio, con quel bicchiere
sempre pieno in pugno.
“Non fate i furbi! Niente lingua!”. Io non fui molto d’accordo con quell’ultima
regola, ma annuii falsamente: solidarietà femminile, la chiamano. Io la chiamo
“repressione degli istinti”.
Cercai di far girare bene la bottiglia: la prima volta mi si schiantò contro,
distratta dalle preghiere di Ciccio; la seconda uscì Carlo, ma non fu
eccitante. Un bacio a stampo come tanti, uno di quelli che non ti portano da
nessuna parte.
Salvo prese possesso del timone e cominciò a dirigere il gioco, dandomi
dell’incapace.
“Ubriaca, non incapace, prego” lo rimproverai con finta acidità. D’altronde, mi
divertiva di più guardare, ridere e
tenere in mano una bottiglia piena, piuttosto che una vuota.
I baci volavano, la birra spariva, noi ridevamo e la terra girava più velocemente
del solito.
“Anto tocca a te!”
“Sono sempre pronta io! Fondo!” bicchiere vuoto.
“Giro eh!” e la mano di Salvo spinse la bottiglia. Mezzo giro riuscì a fare.
“T’è uscito Giuseppe!” disse maliziosamente
Vita, che aveva già intuito la mia voglia di sconvolgere l’equilibrio del
ragazzo.
“Bacio! Bacio! Bacio!”
Stranamente, m’imbarazzai anch’io. Ci misi un po’ ad alzarmi dalla sedia e ad
accettare la sfida di quegli sguardi.
“Io non mi vergogno mica!” mentii avvicinandomi a lui.
Lo presi per la testa e lo tirai a me. Lo baciai, ma lo baciai davvero. E mi
baciò anche lui. Gli altri sparirono. Attorno a me, il silenzio e il suo odore.
La birra era evaporata di botto, le risa si erano fatte mute, noi avevamo
smesso di girare, gli altri attorno a me… non so.
“Era senza lingua!” urlarono e ricominciarono a ridere. Il mondo ripartì, dopo
quell’attimo.
“Fondo!” gridai con in faccia un enorme sorriso, bevendo d’un sorso la birra
che mi riempiva il bicchiere e distogliendo l’attenzione da noi, che avevamo
ancora voglia l’una del sapore dell’altro.
Era quello “l’altrove”. Era quello ciò che fuori da me stessa esisteva,
respirava, palpitava. C’era davvero dell’altro attorno a me, oltre alla
tristezza di un addio. C’era ancora la passione nel mio corpo, c’erano ancora
delle labbra che desideravano le mie, c’era ancora l’emozione di un primo bacio
dentro la mia anima.
Ci alzammo e abbracciati andammo via.
Poi di colpo, fu l’alba."
[Mio racconto per l'antologia "Dentro la birra" http://www.braviautori.com/forum/viewtopic.php?f=81&t=3940 ]
Grazie per il commento sul mio blog :D Teniamoli vivi questi blog che per colpa di facebook stanno morendo lentamente
RispondiElimina:) facebook non ci rappresenta tanto quanto lo fanno loro! un bacio!
Elimina:D concordo!
RispondiEliminaCiao Antonella,
RispondiEliminavolevo complimentarmi per il tuo racconto "Fondo" che ho letto sulla raccolta Dentro la birra di Braviautori. Da li' poi ho seguito il link al tuo blog.
Ciao,
Enrico